Scene bonus italiane
Stagione di Caccia
Lo Sguardo del Lupo Libro 1
“Quel posto sarà fantastico!” disse Owen mentre stringeva il volante, sorpassando un veicolo che procedeva a circa venti chilometri all’ora.
Con quella neve, Stasia non avrebbe proprio biasimato il guidatore.
“L’hai già detto. Un sacco di volte.” E lei la prima volta gli aveva creduto. Anche la terza. Ma alla quinta ora di un viaggio che avrebbe dovuto durarne tre, stava diventando diffidente. “Ho visto l’insegna di un hotel all’ultima uscita. Forse dovremmo tornare indietro e fermarci lì per la notte. Questa nevicata sta diventando sempre più fitta.” Gli spazzaneve erano fuori al lavoro, ma non riuscivano a restare al passo con la velocità con cui i grossi fiocchi si depositavano sul manto stradale.
“No. Siamo quasi arrivati.” Il suo compagno raramente appariva così serio, ma lei riconobbe nella sua voce la determinazione che ben conosceva.
Sarebbero arrivati al resort o sarebbero morti nel tentativo.
Stasia cercò di ricordare se avesse portato con sé qualche dotazione di emergenza quando era uscita, ma temeva che potessero contare solo sui loro giacconi invernali e su ciò che avrebbero potuto recuperare dalla valigia.
E i suoi vestiti non erano certamente fatti per tenere caldo qualcuno.
Nel peggiore dei casi avrebbero potuto trasformarsi e rannicchiarsi insieme nella neve. Non aveva mai sentito parlare di lupi morti di freddo.
“Smetti di pensare a tutti i modi in cui questo viaggio può finire male. Non si fa catastrofismo in vacanza.” L’auto sbandò quando raggiunsero una lastra di ghiaccio e Owen proruppe in una serie di tremende imprecazioni.
Stasia dovette trattenere una risata. “Va bene, tesoro.”
Ma la perseveranza di Owen fu premiata, e cinque minuti più tardi riuscirono a raggiungere l’uscita dell’autostrada. L’ultimo tratto era magicamente abbastanza sgombro dalla neve da permettere loro di raggiungere il resort, e una volta arrivati trovarono un posto auto libero proprio accanto all’entrata.
Sembrava che le cose stessero migliorando.
Owen parcheggiò velocemente e guardò Stasia con un sorriso. Lei ricambiò. Non sapeva com’era possibile che in appena un paio di mesi lui fosse diventato la ragione per cui il suo cuore batteva, ma di certo in quel momento lo stava facendo accelerare. E presto si sarebbero ritrovati da soli nella loro romantica suite accanto a un fuoco scoppiettante, con l’unica prospettiva, nell’immediato futuro, di un lungo fine settimana di lusso.
Entrare, sapendo che erano ormai vicinissimi al paradiso, fu una specie di tortura. Stasia lasciò che Owen si occupasse del check-in. Sembrava che lei apparisse sempre un po’ minacciosa quando chiedeva qualcosa.
Già! Anche se in tutta la sua carriera aveva fatto piangere un solo studente di medicina. Quanto poteva essere spaventosa?
Dopo un attimo Owen fu di ritorno, insieme a un sorriso e alle chiavi della stanza. “È tutto a posto. Ha detto che ci ha dato l’ultima stanza libera rimasta.”
“Perché non avrebbe dovuto essere tutto a posto? Avevamo prenotato.” Ma poi Stasia alzò le mani e scosse la testa. “Non importa, lasciamo perdere. Andiamo a sistemarci.”
Owen le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé. Nonostante il freddo esterno, sembrava una fornace e lei gli si rannicchiò contro. “È tutto perfetto,” disse lui. “Il posto è bello.”
E lo era. Sembravano essere entrati in una specie di fiaba, tra pareti di legno scuro ricoperte di splendidi e sinuosi rampicanti intagliati. Il rivestimento era interrotto di tanto in tanto da sottili specchi che facevano apparire l’ambiente più grande di quanto non fosse. E tutto era immerso in una morbida luce calda che faceva pensare a una versione idealizzata di casa.
Erano al terzo piano, e l’ascensore si aprì su un piccolo corridoio con le porte di quattro stanze. Non esattamente un attico, ma lei era già stata in una quantità di attici. Quella era la prima vacanza con Owen.
Lui infilò la chiave nella serratura e aprì la porta.
Stasia si rese conto che si era immobilizzato solo quando gli andò a sbattere contro. “Che c’è?” chiese. Cercò di guardare oltre, ma le sue spalle occupavano troppo spazio. “Owen, cosa c’è?”
“Possiamo sempre tornare indietro e fermarci in quell’Holiday Inn,” disse, facendo un passo avanti. “Non so cosa stia succedendo. Questo non è ciò che avevo prenotato.”
Stasia lo seguì, e quando vide cosa lo aveva tanto irritato non poté fare altro che mettersi a ridere.
Due letti.
La suite della loro fuga romantica aveva due letti minuscoli in cui poteva entrare a malapena un adulto, figuriamoci due.
Owen avanzò e raccolse un biglietto che era stato depositato sul letto più vicino all’ingresso. Lo lesse, e la sua espressione si incupì in quel tipo di rabbia che Stasia aveva visto in lui solo quando era nel pieno di un combattimento. “Quella piccola moralista…”
“Cosa dice?”
Lui accartocciò il biglietto e lo gettò sul pavimento. “Dice che hanno cambiato la nostra prenotazione perché la suite per la luna di miele è riservata alle coppie sposate. Ma che cazzo significa? Tu sei la mia compagna. Ora basta. Ce ne andiamo.”
Si precipitò verso la porta, ma Stasia gli mise una mano sul petto per fermarlo. “Respira a fondo, tesoro. È tardi e le strade sono in condizioni terribili.” Le sue labbra si curvarono nel suo sorriso più seducente. “E poi so quanto tu riesca a essere creativo,” disse, sporgendosi a baciarlo. “Non abbiamo bisogno della suite per la luna di miele. Avanti. Infiliamoci in uno di quei letti.”
Non sarebbe tornata fuori al freddo. E quando Owen si tolse il primo strato di vestiti, il corpo di lei cominciò a scaldarsi.
Se quella fosse stata la sfida peggiore di quella vacanza, sarebbero stati benissimo.
E finché era insieme al suo compagno, non le importava di quanto fosse piccolo il letto. Con lui, era a casa.
Lupi mutaforma.
Dannati licantropi.
Em stava facendo del suo meglio per non dare di matto, per il bene di sua sorella. In fin dei conti era stata Stasia a subire il morso. Grazie al cielo al momento era altrove, perché lei non avrebbe potuto fingere che stesse andando tutto bene per un solo altro minuto.
Si era intrufolata in una stanzetta che sembrava adibita a magazzino e stava facendo degli esercizi di respirazione che aveva imparato pensando potessero aiutarla a superare la paura del palcoscenico. Chi avrebbe mai immaginato che potessero servire a calmarla durante una crisi di nervi?
La porta si aprì di scatto ed Em sobbalzò come una bimba sorpresa a rubare dei biscotti.
“Non dovresti essere qui dentro.” Era uno dei licantropi. Andre. Aveva un’aria scura e ostile, e qualcosa in lui indusse Em a guardarlo in malo modo.
“La porta non era chiusa a chiave.” Non aveva intenzione di sentirsi in colpa, non quando era stato uno di quei mutaforma ad attaccare sua sorella.
Lui picchiettò un dito sul cartello appeso all’esterno. “Dice ‘privato’, o sbaglio?” chiese, sollevando un sopracciglio.
Em non si era preoccupata di leggerlo. Aveva solo sentito il bisogno di trovare un posto dove potersi ritagliare qualche minuto per sé. Stava per immergersi in un tour in cui ogni maledetto secondo della sua esistenza sarebbe stato pianificato senza concederle alcuno spazio libero. Non poteva prendersi cinque minuti per se stessa?
Forse avrebbe dovuto cancellare il tour.
Se Stasia si fosse trasformata in un licantropo, avrebbe potuto aver bisogno di sua sorella.
Anche se naturalmente si sarebbe buttata giù da una rupe prima di permettere a qualcuno di aiutarla.
“Ti ho fatto una domanda,” disse Andre.
Una donna intelligente non avrebbe sfidato un licantropo. Avrebbe abbassato lo sguardo e si sarebbe scusata come una brava ragazza.
Em non era quel tipo di donna. Si avvicinò ad Andre e gli piantò un dito in mezzo al petto. “Non fare l’alfa con me. Non ti dona.”
Lui avrebbe dovuto accigliarsi. Em si aspettava un moto di irritazione. Ma quando la bocca di lui si piegò in un sorriso, si preoccupò.
“Non potresti gestire un mio comportamento da alfa neanche se ci provassi.” Nei suoi occhi passò per un momento un bagliore dorato, mentre si piegava verso di lei.
Stava per baciarla?
Lo avrebbe preso a schiaffi se ci avesse provato.
Oppure avrebbe potuto rispondere al bacio.
Non ne era affatto sicura.
Merda.
Ma Andre si ritrasse e il bagliore giallastro svanì subito dai suoi occhi. “Assicurati di chiudere la porta dietro di te quando esci.”
E prima che lei potesse pensare a una replica, se ne andò.
Em lo seguì con lo sguardo, torva.
Chi diavolo credeva di essere?
Quando fu pronta a uscire, lasciò aperta la porta della stanza.
Stupido licantropo alfa.
In Agguato
Lo Sguardo del Lupo Libro 2
Il tour era terminato ed Em poteva finalmente riposare. Dovevano ancora consegnarle a domicilio un milione di cose, ma lei era a casa. Gli addetti alle pulizie erano passati ad arieggiare i locali prima che lei arrivasse. Uno dei suoi assistenti si era assicurato che avesse del cibo in frigorifero.
A quel punto poteva crollare e dormire per un mese.
Se non fosse stato per…
“Porca puttana.” Andre varcò la soglia e si immobilizzò, mentre si guardava intorno.
Em sussultò a quel commento e guardò la casa con occhi nuovi. L’aveva acquistata cinque anni prima con un’offerta troppo ghiotta per essere vera. Era proprio sull’oceano, e il costruttore sapeva che quella caratteristica era tra le più appetibili. Persino dalla porta di ingresso si vedevano le onde blu scintillanti frangersi sulla costa.
Non era una casa enorme, almeno non per gli standard di rockstar e miliardari. Ma per quelli di un ex militare attualmente licantropo poteva risultare un tantino troppo grande.
Forse non le servivano tutte e dieci le camere da letto, ma sicuramente c’era molto spazio per gli ospiti. E nel seminterrato aveva uno splendido studio di registrazione.
Andre stava ancora osservando quegli spazi con gli occhi sbarrati, anche se parte dello shock iniziale si stava dissolvendo. E al suo posto non c’era alcuna traccia di giudizio.
Bene. Ottimo. Non ci sarebbero stati problemi.
E comunque perché si era spaventata? Lui era il suo compagno. Era legato a lei.
E si sarebbe trasferito lì.
Non era stata tanto una domanda quanto un fatto che entrambi avevano dato per scontato, quando il tour era terminato e avevano iniziato a fare progetti. Tra una chiacchiera e l’altra si erano ritrovati ben presto a parlare di società di traslochi e di trasferimento. Lui non aveva bisogno del suo appartamento a New York se aveva intenzione di restare con lei.
“Che cosa ne pensi?” chiese, cercando di non mettere apprensione nella voce. Lui era il suo compagno, ma era pur sempre Andre e l’avrebbe tormentata a morte se avesse percepito in lei una debolezza.
Era giusto così, visto che Em avrebbe fatto lo stesso.
Lui fece ancora qualche passo e si fermò ai piedi del grande scalone, girandosi lentamente fino a trovarsi di fronte a lei, con aria pensierosa. “Non è un po’… piccola?”
Lei restò a bocca aperta e lo guardò male. “Dici sul serio? Non è abbastanza grande per il tuo ego? Credo che la casa accanto sia in vendita.”
“La casa accanto? Non vedo nessun vicino.” Guardò fuori dalle finestre, ma si vedeva solo l’oceano.
Sì, la casa sorgeva su alcuni ettari privati. “Nessun vicino significa che possiamo fare quello che vogliamo,” gli ricordò lei. “Correre in libertà.”
Lui si girò, le si avvicinò velocemente e la bloccò contro la ringhiera. Le rubò un bacio, ma si allontanò prima che Em potesse abbandonarvisi. Lei provò a fermarlo, ma non ci riuscì.
“Non ho detto di voler correre.”
“Davvero?” Lei si accese di desiderio. “Nessuno ci può vedere attraverso le finestre,” disse. La stanchezza di poco prima era svanita, rimpiazzata dal bisogno di avere vicino il suo compagno.
“Allora perché sei ancora vestita?” Andre si allungò in avanti a toglierle la maglietta.
Em sorrise. La convivenza era sempre più bella.
Quando Em lentamente si svegliò, sentì le braccia di Andre strette intorno a sé. Tutt’intorno a loro l’aria era meravigliosa e profumata di verde, e faceva venire voglia al suo lupo interiore di fare le fusa.
Beh, no, non le fusa. Ormai era un lupo, dannazione. Aveva degli standard da rispettare.
Il terreno su cui riposavano era fresco e morbido e sarebbe stato perfetto se lei fosse stata ancora nella sua pelliccia. Invece rabbrividì, e si rese conto che a un certo punto della notte lei e il suo compagno erano tornati entrambi alla loro forma umana.
Spalancò gli occhi e fu attraversata da un’ondata di panico. “Andre.” Sussurrò il suo nome come se temesse che un gufo potesse sentirla. “Andre, svegliati.”
Il suo compagno gemette e la tirò più vicino a sé, sfiorandole il collo con le labbra.
Stavolta il brivido non ebbe nulla a che fare con il freddo. Voleva fondersi con lui e vedere dove quella mattina avrebbe potuto portarli. Sentì un clacson in lontananza e il verde profumo della terra fresca fu disturbato da un moderno sentore di gomma.
Una strada. Nelle vicinanze.
Dove si trovavano?
E dov’erano i loro vestiti?
Erano giunti quasi al termine di quella tappa del tour e lei ricordò che Andre la sera prima l’aveva invitata a fare una corsa, con un sorriso malizioso. Una donna sana di mente avrebbe detto di no. O almeno avrebbe insistito per fare quella corsa nella loro forma umana.
Ma Em stava cominciando a rendersi conto di non avere difese contro il sorriso di Andre. E correre con le sembianze di un lupo insieme al compagno era la sua seconda cosa preferita al mondo.
Non riusciva a ricordare in quale città si trovassero, ma quella non era una novità. Finché ci fosse stato qualcuno a ricordarglielo prima di salire sul palco e rendersi ridicola, non sarebbe stato un problema.
A meno che qualche fotografo non avesse immortalato lei e Andre mentre uscivano nudi da una foresta.
Oddio. Le immagini avrebbero invaso Internet entro l’ora di pranzo. Avrebbe dovuto inventare una scusa, magari la stanchezza, o una disintossicazione o chissà che altro, e sparire in una struttura residenziale per evitare ulteriori pettegolezzi.
Sarebbe stato meglio che il mondo pensasse che si drogava, piuttosto che raccontare la verità.
Qualche mese fa sono stata trasformata in un licantropo, sapete? E ora ho persino qualche tipo di potere magico. No, non sono pazza, perché me lo chiedete? Anche mia sorella è un licantropo!
Avrebbe potuto dire addio alla sua carriera e forse anche alla sua libertà.
“Hai il batticuore,” disse Andre quando finalmente riprese conoscenza e lucidità. Le passò una mano sul ventre nudo, con un movimento che normalmente l’avrebbe fatta rabbrividire di piacere, ma al momento era troppo impegnata a dare di matto per goderselo. “Cosa c’è che non va?”
“Dici sul serio?” Em si liberò bruscamente dal suo abbraccio e schizzò in piedi, cercando disperatamente i vestiti che sapeva già non essere lì. “Dovevamo rientrare di nascosto prima dell’alba. Guarda, Andre…” Indicò la luce che filtrava tra le chiome degli alberi sopra di loro. “Luce del sole! Gente! È mattina, e ci sorprenderanno!”
Forse poteva usare i suoi inaffidabili poteri magici per nasconderli da occhi indiscreti?
Meglio di no, l’ultima volta che aveva provato a esercitarsi aveva aperto un impressionante buco nel terreno.
“Calmati,” disse il suo compagno allungando una mano per toccarla, ma lei si stava già allontanando.
“Calmarmi? Sono in mezzo a un bosco, nuda! Non dirmi di calmarmi.”
Lui emise un sensuale suono gutturale, e lei sentì il suo sguardo percorrerla. Provò una stretta in fondo al ventre che quasi bastò a smorzare il panico.
“Non fare l’uomo sexy, ora,” disse con un’occhiataccia.
“Io sono sempre sexy.”
Lei si lasciò sfuggire un grido senza parole e lo fulminò con lo sguardo. Poteva anche amare quel tizio, ma avrebbe giurato che a volte il suo scopo nella vita fosse quello di farla infuriare.
Andre si alzò e la prese tra le braccia. Il suo corpo era caldo e profumava di bosco, e a Em sembrò di tornare a casa. Si rilassò contro di lui.
“Sei proprio una rockstar,” la prese in giro lui, facendo correre la mano lungo la sua schiena. “Non ti hanno mai sorpreso nuda insieme a un uomo. Ti faranno iniziare a cantare musica contemporanea per adulti, se non sporchi un po’ la tua immagine.”
“Sei uno stronzo,” disse lei senza cattiveria, muovendo le labbra sul suo petto. “Mi troverò un nuovo compagno.”
Anche se era una battuta, Andre ringhiò e rafforzò la presa su di lei. “Andiamo, ho un piano.”
“Ti va di condividerlo con la classe?” chiese Em mentre lui la lasciava andare e iniziava a camminare.
“Forse sarà il tuo nuovo compagno a condividere i suoi piani con te.”
Lei alzò gli occhi al cielo, ma Andre riuscì a scrollarle di dosso un po’ di panico. E quando raggiunsero i margini del bosco, lui alzò il pugno chiuso in segno di vittoria. “Sì! Proprio come pensavo.”
A quel punto, dopo una breve attesa, lui le spiegò il suo piano.
“L’autobus del tour è proprio all’estremità del parcheggio. E ha un sistema di ingresso a tastiera. Se riusciamo ad arrivare lì senza essere visti possiamo trovare qualcosa da indossare. O trovare il modo di chiamare uno dei tuoi assistenti personali per farci portare dei vestiti. Siamo a posto.”
“Ti è già capitato di rimanere bloccato nudo in un bosco, vero?” Era troppo calmo per pensare il contrario.
Lui sorrise, abbassando lo sguardo su di lei. “Facciamo a chi arriva prima.”
E senza darle il tempo di rispondere, cominciò a correre.
Al diavolo i paparazzi, avrebbe vinto lei. E mentre sfrecciava oltre i bordi del parcheggio rovesciò la testa all’indietro, ridendo.
Una cosa era certa: la vita con il suo compagno non era mai noiosa.
Scontro di Magia
Lo Sguardo del Lupo Libro 3
“Ehilà, piccoletto.” Rowe si chinò per grattare dietro le orecchie l’affettuoso cucciolo marrone che gli andò incontro come se fossero amici persi da tempo. Non vide il collare, ma il cane era pulito e scodinzolava allegramente.
Mmm.
“Dove sono mamma e papà?” Sì, parlava come se il cane capisse, ma intorno non c’era nessuno che avrebbe potuto prenderlo in giro. Vi stava facendo la fila per comprare da bere al banchetto del venditore ai margini del parco, mentre lui aspettava il suo ritorno in piedi accanto alla fontana.
E ora aveva un nuovo amico, il cane.
Era davvero così strano chiedersi se la bestiola potesse capirlo? Dopotutto, lui capiva perfettamente le persone quando era nella sua altra forma.
Rowe si guardò intorno per capire se qualcuno stesse cercando freneticamente un cane da caccia in fuga, ma tutti nei paraggi sembravano immersi nei loro piccoli mondi. Nessuno prestava attenzione all’animale.
“Cosa dovrei fare con te?” Lui e Vi non avevano mai parlato di animali domestici. O di bambini. Le loro vite erano troppo in sospeso, finché erano alla ricerca di indizi nei documenti che avevano preso dall’appartamento di Rosalie.
Ma se il cucciolo non avesse avuto una casa?
Lui e Vi erano pronti per occuparsi di un animale? O di qualcosa di più serio?
Avevano un intero branco ad aiutarli. Sicuramente avrebbero trovato il modo di far funzionare la cosa. Immaginava già lunghe passeggiate al parco, a giocare lanciando la pallina e ridendo quando il cane non riusciva a prenderla al volo. Forse sarebbe stato anche abbastanza coraggioso da correre insieme ai mutaforma.
Forse era il momento di iniziare a pensare…
“Oh mio Dio, Chester!” Una voce maschile intrisa di panico lo chiamò, e il cane ai piedi di Rowe abbaiò.
Lui si voltò e vide Vi in piedi accanto a un uomo molto agitato, che stringeva un collare rotto in una mano e un guinzaglio nell’altra.
“L’avete trovato! Grazie. Vieni qui, bello!” disse l’uomo mettendosi in ginocchio e dandosi uno schiaffetto sulle gambe per invitare la bestiola a raggiungerlo. “Vieni.”
Chester balzò verso il padrone accettando i suoi abbracci e le coccole quando si riunirono. Con un ultimo ringraziamento uomo e cane se ne andarono, lasciando soli Vi e Rowe.
“Avevi intenzione di portartelo a casa, vero?” chiese lei, porgendogli una bottiglia d’acqua.
“Cosa? No!” Scosse vigorosamente la testa, negando.
Vi sbuffò. “Certo. Ma assicurati di chiedere il mio parere, prima di portare a casa dei randagi.”
Quello non era un no. Forse c’era spazio per un cane, e non solo, nel loro futuro.
Rowe non vedeva l’ora di scoprirlo.
Vi strinse saldamente le carte e studiò il suo compagno. Erano rimasti in gioco solo loro due, sia Owen che Gibson avevano lasciato.
La sua mano faceva schifo. Cinque carte che non appartenevano allo stesso codice postale, figuriamoci alle stesse dita. Ma non avrebbe mai permesso a Rowe di vincere, questa volta. Lui aveva radunato davanti a sé delle belle pile di fiches e le sue vanterie su quanto fosse bravo a poker apparentemente avevano un solido fondo di verità.
Ma avrebbe imparato cosa significasse giocare contro una strega.
Prese un bel respiro e richiamò un pizzico di energia nelle sue dita mentre sceglieva le carte da lasciare. Avrebbe funzionato. Doveva funzionare.
Cambiò tre carte e sorrise alla sua mano.
Sì. Così andava un po’ meglio.
Rowe strinse gli occhi come se sapesse che qualcosa non andava, ma non riuscisse a capire cosa. La sua mano esitava sulle carte e per un folle momento lei pensò che non ne avrebbe scartata nessuna. Il che avrebbe rovinato tutto.
Dai, su. Osa un po’.
Alla fine lui scartò due carte e prese le due sostitutive. Le esaminò aggrottando la fronte. Poi si accigliò.
Sollevò lo sguardo su di lei, pronto a combattere. “Che diavolo, Vi!” Le mostrò velocemente la mano e lei scoppiò a ridere nel vedere i due Jolly che lui aveva appena preso.
Owen e Gibson videro le carte e si misero a ridere insieme a lei.
“Mi state dicendo che vincere dieci mani di fila è del tutto legittimo?” disse in tono di sfida mentre riprendeva fiato. “Controllate se ha delle carte nelle maniche.”
Rowe spalancò gli occhi e si allontanò dal tavolo. “Non perdiamo la calma, ora.”
“Se vuoi giocare con una strega dovrai imbrogliare meglio di così, tesoro.” La sua risata si stava spegnendo e non si sentiva assolutamente in colpa. Non c’erano regole in amore e nel poker.
Ma si alzò comunque dal tavolo e tirò Rowe per un braccio. “Credo che la serata sia finita, ragazzi. Devo mostrare al mio compagno una cosa o due su come si vince.”
Rowe le passò le braccia intorno e la sollevò, suscitando un guaito di sorpresa. Ma Vi non riusciva a smettere di sorridere.
Chiunque dicesse che gli imbroglioni non vincono mai non aveva un lupo come compagno. E lei non vedeva l’ora di riscuotere il suo premio di consolazione.
Da Fame da Lupi
Lo Sguardo del Lupo Libro 4
“Ti piacerà,” promise Bryan con un po’ più di sicurezza di quella che provava. Vedeva già le luci intermittenti provenire dalla porta e sentiva le suonerie acute di un centinaio di giochi.
“Mi piaceva quello che stavamo facendo,” ribatté Kerry. Indossava una delle camicie di lui come una tunica oversize su un paio di jeans che le modellavano le natiche facendogli venire l’acquolina in bocca. I capelli rossi erano raccolti in una treccia stretta. Era pronta a spaccare il culo a chiunque.
E il sesso di Bryan minacciava l’ammutinamento al pensiero di ciò che avevano fatto quasi ininterrottamente nell’ultimo giorno. “Sto portando fuori la mia compagna per una serata romantica, dannazione,” brontolò per finta, con un sorriso.
Kerry gli passò le braccia intorno alle spalle e gli diede un rapido bacio sulle labbra. “Allora andiamo.”
C’era un vicolo buio nelle vicinanze? Perché prenderla subito avrebbe potuto alleggerire la tensione.
Gibson aveva detto di prendersi un giorno per loro stessi dopo il rapporto sul patteggiamento. Bryan aveva cercato di opporsi. Erin Jackson non era ancora ricomparsa e loro dovevano trovarla. Ma il maggiore stava chiamando tutti per le ricerche. Bryan e Kerry sarebbero tornati dopo aver recuperato le energie.
Quindi la serata era tutta per loro.
“Cos’è questo posto?” chiese lei prima che varcassero la soglia.
“Una sala giochi e birreria retrò. Stavo cercando un motivo per dare un’occhiata all’interno.” Ci era passato davanti già una mezza dozzina di volte, ma non aveva mai avuto una scusa abbastanza buona per entrare. Non voleva andarci da solo.
“Guarda che non ho rivali a skee ball,” lo avvertì Kerry. “E l’amore non mi convincerà a trattenermi.”
“L’amore?” Il sorriso di Bryan si allargò. La serata si faceva interessante. “E me lo dici così? Sto organizzando un grande evento per mettere il mio cuore ai tuoi piedi e tu me lo rovini in questo modo?”
“Metterai il tuo cuore ai miei piedi dopo che ti avrò fatto il culo a skee ball.” Gli diede un rapido bacio e lo guidò all’interno.
Dentro c’era… molto. Soprattutto per i sensi di un mutaforma. Le luci a soffitto erano fioche, per rendere più vibranti i lampi e le intermittenze dei giochi. A Bryan il posto ricordava un po’ un casinò, anche se almeno non puzzava di fumo di sigaretta. Dopo qualche minuto i suoi sensi si adattarono abbastanza da funzionare.
Comprò delle birre mentre Kerry trovava la pista da skee ball per rilanciare minacciosamente la sua sfida. Aveva già una palla di legno in mano, e i suoi occhi brillarono di gioia maliziosa quando lo vide.
“Qual è il premio, se vinco?” gli chiese, prendendo una delle birre e sorseggiandola in curiosa attesa.
Lui aveva ordinato per entrambi qualcosa di leggero. Non era il caso che tutti i loro sensi venissero sopraffatti; vista e udito erano più che sufficienti. Finse di pensarci sopra mentre anche lui sorseggiava la sua birra. “Vinci me,” disse infine, studiando la macchina mentre le prendeva di mano la palla. La lanciò lungo la rampa e la guardò volare nell’area da cento punti.
Kerry strinse gli occhi mentre lui raccoglieva una seconda palla e segnava altri cento punti. “E se perdo?” Il suo tono suggeriva che perdere non fosse un’opzione.
Bryan lanciò la terza palla, ma con quella ottenne solo dieci punti. “Ti toccherà sopportarmi,” rispose.
Lei si mise a ridere e inserì i gettoni nella macchina, dietro di lui. “Ci siamo, amico. C’è posto per un solo campione in questa relazione.”
“Hai la colonna sonora di Mission Impossible in mente, vero?” chiese Stasia mentre uscivano dalla stazione della metropolitana in direzione del palazzo di AR.
“Sono una persona seria,” rispose Owen, con la fronte aggrottata e scuro in viso. “Non può accadere una cosa del genere.”
“Ah-ha, certo.” Lei conosceva il suo compagno abbastanza bene da poter praticamente sentire il ritmo rivelatore della musica.
“Allora, qual è il piano?” L’espressione torva di lui si trasformò in un sorriso. “Gli mettiamo nel drink una polvere che gli faccia perdere conoscenza? Appicchiamo un incendio per distrarlo? Hai qualcosa in mente?”
Erano condannati.
“Ne abbiamo parlato a casa. Andre ti chiamerà alle 19:15 e tu risponderai allontanandoti da noi. Ti infilerai nell’ufficio di AR. Io lo terrò occupato il più a lungo possibile mentre tu proverai a scaricare i dati del computer. Non canticchierai il tema musicale di Mission Impossible in nessun momento. Ci siamo capiti?” Stasia cercò di non sentirsi come se stesse tradendo la famiglia. Magari non erano mai stati molto vicini, ma AR era pur sempre suo fratello.
E forse un criminale.
Più malvagio del previsto.
“E se mi sorprendono, faccio il finto tonto. Ci penso io, piccola.” Le passò un braccio intorno alle spalle, se la tirò vicino e le sfiorò la fronte con un bacio.
Erano davvero condannati.
Ma lei si fidava di Owen più che di ogni altra persona sul pianeta. Era un po’ impacciato e non sembrava prendere mai niente sul serio, ma portava a termine ogni incarico. E avrebbe portato a termine anche quello. Stasia aveva visto le medaglie che lui aveva riposto sul fondo di una scatola da trasloco. Non le aveva ricevute per essere rimasto seduto a scherzare.
Salirono in ascensore fino all’attico e incontrarono AR sulla porta, tutto sorrisi e addirittura disposto ad un abbraccio. Dato che suo fratello era a metà strada tra un divorzio e un nuovo matrimonio, avendo preso molto dal loro padre, a cena sarebbero stati solo loro tre. I figli di lui vivevano a tempo pieno con la madre.
“Sono felice che siate venuti,” disse AR mentre li guidava attraverso il suo appartamento fino alla cucina, dove li aspettavano un vassoio di salumi e una bottiglia di vino. “Dovremmo vederci più spesso.”
Ecco, a quel punto Stasia si sentì in colpa. Se suo fratello non avesse avuto niente a che fare con ciò di cui lei lo sospettava, sarebbe stata ufficialmente una persona cattiva. Ma lei e Owen accettarono il vino e si impegnarono nel genere di chiacchiere che di solito si facevano tra semplici conoscenti, non tra fratelli.
Il formaggio era buono, almeno.
Tra un discorso e l’altro lei perse la cognizione del tempo e il suono del timer del forno la spaventò, facendola sobbalzare.
AR fece una risatina di scherno da tipico fratello maggiore. Poi prese un guanto da cucina ed estrasse dal forno una teglia. “Perché non vi accomodate in sala da pranzo? Tra poco sarà pronto.”
“Hai veramente cucinato tu?” Il pollo arrosto aveva un profumo delizioso e lei notò degli altri piccoli piatti di ceramica che probabilmente contenevano dei contorni, ma essendo coperti non ne aveva la certezza.
AR alzò gli occhi al cielo. “Per favore.”
Quindi era un no. Bene. Stasia dubitava che suo fratello sapesse preparare qualcosa di più impegnativo di un toast, e a quel punto si aspettò di poter abbinare un pasto decente a quella missione di spionaggio.
Guidò Owen lungo il corridoio fino alla sala da pranzo e presero posto, con Owen opportunamente seduto vicino alla porta per poter uscire senza intoppi.
“Stiamo procedendo bene,” mormorò lui. AR era troppo lontano per sentirli, ma non era un buon motivo per abbassare la guardia.
Lei controllò l’orologio. Meno tredici minuti.
AR dovette fare tre viaggi per portare in tavola la cena. Al primo assaggio lei rimpianse di essere in missione. Avrebbe potuto mangiare tutto quello che lui le aveva messo davanti per poi ricominciare da capo.
“Chi ha preparato questa roba?” chiese, tra un boccone e l’altro.
“Ho messo al lavoro il mio chef. Se mai proverà a lasciarmi, dovrò incatenarlo in cucina.” Si mise a ridere.
Era tutto buonissimo, ma quella battuta le ricordò che AR poteva essere coinvolto nel rapimento di tre anni prima ai danni di Owen e del branco. Stasia si costrinse a ricambiare con un sorriso.
Owen sobbalzò sulla sedia e tirò fuori il telefono dalla tasca. “Mi prendi per il culo?” disse tra sé.
“Che c’è?” Rispose alla chiamata sembrando così credibile che per un secondo lei non si rese conto che era arrivato il momento della messa in scena.
Lui si era già alzato dalla sedia. “Mi dispiace, devo rispondere.” E uscì dalla sala da pranzo, lasciando AR e Stasia da soli.
“E tu tolleri questa cosa?” le chiese il fratello tra una forchettata e l’altra di cavoletti di Bruxelles.
Ora toccava a lei recitare. Non poteva rovinare tutto. “Non è che non mi abbiano chiamato spesso quando lavoravo al pronto soccorso.”
“Dopo aver passato sette anni alla facoltà di medicina. Che tipo di emergenza poteva avere Owen? Troppi ubriachi a una festa? È solo un buttafuori promosso a guardia del corpo.”
Stasia sollevò le sopracciglia. “Era abbastanza bravo perché tu lo assumessi per proteggermi.”
“Non la pensavi così.”
“Evidentemente ho cambiato idea.” D’accordo, ora era arrabbiata. Owen prendeva seriamente il suo lavoro ed era dannatamente bravo. AR non sarebbe durato un giorno. Lei infilzò le sue verdure per trattenersi dal dire qualcosa di cui si sarebbe pentita. O qualcosa che avrebbe fatto cacciare Owen prima che portasse a termine la missione.
Sperò che la chiavetta USB si rivelasse affidabile. Né lei né Owen erano hacker, ma erano gli unici a cui era garantito l’accesso a casa di AR.
Lei e il fratello rimasero in silenzio mentre continuavano a mangiare. I minuti passavano e Stasia era ormai certa che Owen sarebbe stato sorpreso da un allarme di sicurezza o da qualche guardia appostata la cui eventuale presenza non avevano preso in considerazione.
Non voleva lottare per uscire dall’edificio. AR era ancora suo fratello. Ma prima di ogni altro avrebbe protetto il suo compagno.
Sempre.
Diversi minuti più tardi Owen rientrò nella stanza e si accasciò sulla sedia con un sospiro. “Scusatemi. Mi passi i cavoletti di Bruxelles?”
Stasia glieli porse lanciandogli un’occhiata tagliente. Lui si limitò a sorridere e si servì una porzione abbondante. “Sembrano deliziosi. Allora, AR, come procede il piano per il dominio del mondo? Hai abbattuto qualche foresta pluviale di recente?”
Stasia gemette mentre suo fratello le rivolgeva uno sguardo gelido.
Ma Owen le diede una stretta alla gamba, sotto il tavolo. Aveva fatto la sua parte. E mentre la cena procedeva, lei tirò un sospiro di sollievo perché AR sembrava non essersi accorto di nulla.
Ora dovevano solo vedere se nei dati ci fosse qualcosa di utile.
Ruwen
Legàmi Alieni Libro 1
Lis strinse forte la tazza tra le mani e inspirò a fondo. Mmmmm. Cioccolata calda. Il cacao magari non era veramente cacao, ma il sapore era quanto di più reale potesse sognare.
Ma non copriva il sapore amaro del lavoro che l’attendeva. “Non mi sembra una buona idea,” disse.
“Che cosa?” chiese Ruwen. Il suo compagno aveva optato per un qualche tipo di bevanda vegetale nutriente e quindi, a prescindere da ciò che avrebbe detto, lei non si sarebbe fidata del suo giudizio.
“Questo lavoro,” rispose, anche se doveva procedere con cautela. Renkwist era un vecchio amico di Ru. “Questo lavoro. Non sono sicura che mi piaccia quel tizio, mi è sembrato uno…” Cercò la parola giusta mentre Ru era in attesa. “… stronzo,” concluse infine con un piccolo brivido.
Alla faccia del mostrarsi accomodante.
Ma Ru fece una risatina e scrollò le spalle. “Sì, è uno stronzo,” confermò. “Ma mi ha anche salvato il culo più di una volta. Per un incarico come questo, la perquisizione di una nave abbandonata, ci vuole più di una persona. Finché resteremo concentrati e non ci faremo ingannare da lui sul compenso, andrà tutto bene.”
Lis non aveva bisogno di controllare il saldo del loro conto corrente per sapere che sarebbe stato stupido rinunciare a un lavoro del genere. “E come facciamo ad assicurarci che non ci freghi con il pagamento?”
Ru rifletté per un momento, sorseggiando la sua bevanda vegetale senza fare una piega. Lis non sapeva come ci riuscisse. Sentiva l’odore dall’altra parte del tavolo. “Vediamo di essere presenti a ogni riunione e di concordare in anticipo l’importo del pagamento. Non gli permettiamo di assumere altro personale. E facciamo in modo di avere amici alla stazione di Honora che sappiano che torneremo e quando.”
“Quindi è come organizzare un appuntamento con un tipo losco?”
Il suo compagno ringhiò. “Da quando in qua organizzi appuntamenti con qualcuno?”
Lis si mise a ridere e si sporse attraverso il tavolo per baciarlo, nonostante la bevanda maleodorante e tutto il resto.
Ru non aveva tutti i torti, ma lei non riusciva ugualmente a liberarsi dalla sensazione che qualcosa fosse destinato ad andare storto. Conosceva i farabutti in generale, e Ru conosceva quello in particolare. Ma l’offerta era davvero troppo buona per lasciarsela sfuggire.
“D’accordo,” disse con un sospiro. “Facciamolo. Ma quando finiremo entrambi drogati e uccisi, dirò che ti avevo avvertito.”
“Non mi aspetterei niente di meno,” disse lui con tutta la serietà di un giuramento. Poi l’espressione solenne si trasformò in un sorriso. “Sarà un’avventura.”
Un’avventura. Giusto. Ne aveva già avute un centinaio in più di quelle che sarebbero bastate a chiunque per una vita intera.
Il giorno dopo arrivarono all’imbarco giusto in tempo per incontrare Renkwist. Era difficile non notarlo: era alto, anche per un oscaviano, dato che sfiorava i due metri e quaranta. La sua pelle era di un viola ricco e brillante e i capelli oscillavano tra il verde e il blu, a seconda dell’angolazione della luce. Se non fosse stato già abbastanza, indossava una giacca blu elettrico che gli arrivava alle ginocchia.
“Esattamente come lo ricordavo,” commentò Ru.
“Come diavolo fai a conoscere questo tizio?” mormorò lei, ma Renkwist era proprio lì e una risposta era fuori discussione.
Il loro committente fece una corsetta per colmare la distanza tra loro, con un sorriso ampio e contagioso. “Ehi! Ce l’avete fatta!” Abbracciò Ru e gli diede una veloce manata sulla schiena, poi si voltò verso Lis e strinse anche lei in un abbraccio da orso prima che potesse sottrarsi. La tenne stretta abbastanza a lungo da farle considerare la cosa come una violenza, prima di lasciarla andare bruscamente. “Andiamo, è tutto pronto.”
“Non ancora, Kwist,” disse Ru alzando una mano. “Sai che dobbiamo parlare delle condizioni, prima di partire.”
Renkwist sospirò, ma lasciò che Ru procedesse. Lis ascoltò attentamente. Era ancora piuttosto nuova a quella vita e non avrebbe saputo riconoscere un accordo equo nemmeno se le fosse caduto in testa.
Quando fu tutto stabilito in modo soddisfacente per Ru, con solo qualche mugugno da parte di Renkwist, salirono a bordo della nave e si diressero verso la loro destinazione.
Lis si aspettava una lunga attesa. I viaggi nello spazio avevano un loro particolare modo di consumare giorni e giorni, ma erano in volo a malapena da due ore quando il sensore di prossimità disse loro che erano vicini.
Mentre Renkwist portava la nave in posizione, Lis e Ru indossarono l’equipaggiamento di recupero. Non si sapeva che tipo di supporto vitale avrebbero trovato e lei non voleva scoprirlo nel modo peggiore.
La nave si agganciò al relitto con una piccola scossa e Renkwist si unì a loro. La missione era sua e Lis odiava l’idea che fosse lui a prendere il comando, ma al momento non c’era nulla che potesse fare in proposito.
La camera di compensazione si aprì con un leggero sibilo e i tre entrarono in un corridoio buio pieno di detriti.
“Lo scafo sembra intatto,” riferì lei, controllando i dati sul suo tablet.
“L’aria è respirabile ma rarefatta,” aggiunse Ru leggendo a sua volta i propri dati.
“Bene!” Renkwist si girò e le rivolse un sorriso. “Diamo inizio alla festa.”
Lis si irrigidì, aspettandosi un doppio gioco. Renkwist aveva già qualcuno in attesa? O si stava spaventando inutilmente?
Doveva tenere sotto controllo le sue emozioni. C’erano troppe incognite perché potesse fare altrimenti.
“Ti ricordi quella nave che abbiamo perquisito ai margini del sistema di Orthal?” chiese Renkwist a Ru.
“Sì.”
“Ricordi la cassaforte?”
“Sì.”
“Ottimo.” L’oscaviano si fermò quando il corridoio li condusse a un bivio. “Secondo la mia scansione c’è lo stesso modello negli alloggi del capitano. Immagino che contenga qualche chicca. Se riesci a scassinarla in meno di due ore aumenterò del dieci per cento la tua parte dei beni all’interno. Io e la tua ragazza cominceremo a prendere quello che possiamo dalla stiva.”
“Oppure potrei aiutare Ru,” intervenne Lis.
“Per scassinare una cassaforte basta una sola persona. Lascia che se ne occupi il tuo ragazzo. Non saremo lontani.”
Lis fulminò con lo sguardo il suo compagno, aspettando che dicesse qualcosa. Ma lui si limitò a scrollare le spalle.
Stronzo! Avrebbe voluto urlare, per ricordargli con chi avevano a che fare. Ma Ru lo sapeva bene quanto lei, e Renkwist aveva ragione. Non sarebbero stati lontani.
Lo avrebbe preso a pugni se avesse tentato di fare qualcosa.
Lis lo seguì nella stiva di carico, tesa e pronta a un voltafaccia. Ma non successe nulla.
Le casse non erano difficili da spostare con le slitte antigravità che avevano in dotazione, ma erano ingombranti. E il supporto vitale di emergenza teneva ancora in funzione il sistema di gravità, quindi il peso era comunque un problema.
Lis spostò una cassa in cima a una pila e valutò male la distanza. La cassa traballò sul bordo e sembrò fermarsi.
Ma durò solo un attimo.
Vacillò di nuovo e cadde, venendo giù dritta verso di lei. Renkwist la urtò sul fianco, scaraventandola via dalla traiettoria e facendole quasi perdere i sensi nel mentre.
Poi si rimise in piedi e le offrì una mano.
Lis avrebbe voluto ignorarlo. Non si fidava ancora di quel tizio, anche se aveva appena impedito che venisse travolta da una pila di casse. In segno di ringraziamento gli afferrò la mano e lasciò che lui la aiutasse a rialzarsi.
Renkwist a quel punto la spinse in avanti e qualcosa le punse un lato del collo. Lei si accorse a malapena che si trattava di un iniettore a pressione, prima che la vista le si annebbiasse e diventasse tutto nero.
* * *
La stanza era così buia che Lis non si rese conto di aver aperto gli occhi, non all’inizio. Poi scorse un minuscolo spiraglio di luce e tirò un sospiro di sollievo.
Non aveva le mani legate, il che era un bene. Non sentiva nulla di rotto. La situazione non era delle migliori, ma le era capitato di peggio.
Non era la prima volta che veniva tenuta sotto sequestro da uno stronzo alieno.
Avanzò faticosamente verso lo spiraglio di luce e passò le dita di lato lungo la parete fino a trovare un chiavistello. Il fatto che la porta fosse chiusa a chiave non fu una sorpresa.
Dannazione.
Se fosse riuscita a vedere qualcosa avrebbe potuto trovare un modo per disabilitare il meccanismo di chiusura. Ma era un grande ‘se’.
Cercò di alzarsi, ma la testa sbatté contro il soffitto basso. Dovunque si trovasse, si trattava di un posto angusto.
Era sulla nave abbandonata? O Renkwist l’aveva riportata sulla propria? Che cosa aveva fatto a Ru?
Fu presa dal panico e cominciò a battere i pugni sulla porta. Se era ancora sul mezzo abbandonato forse Ru l’avrebbe sentita e insieme avrebbero potuto occuparsi del bastardo che pensava di riuscire ad avere la meglio su di loro.
Sentì un rumore, e un attimo dopo la luce invase quella specie di ripostiglio.
Una mano la raggiunse e la tirò fuori. Era Renkwist.
Le rivolse un sorriso crudele, ma Lis non perse tempo a fissarlo e si guardò intorno. Sembrava la stessa stiva in cui si trovavano all’inizio.
“Cosa stai facendo?” chiese. “Perché mi hai aggredito? Cosa sta succedendo?”
Renkwist la trascinò completamente fuori dal deposito prima di farla indietreggiare in un angolino, bloccandole ogni via di fuga. “Ho dovuto mandare il tuo fidanzatino a cercarti, vero? Peccato che ci siano tanti pericoli su una nave come questa. Non credo che tornerà da te.”
Il panico cresceva. Le fece accelerare il battito all’impazzata e restringere il campo visivo. No. Non era possibile. Se Ru fosse stato ucciso lei lo avrebbe saputo nel profondo dell’anima.
“E tu mi farai ottenere una bella somma non appena arriverà il mio compratore. Porterà via questa inutile nave, con te dentro. Il tuo ragazzo non sarebbe mai riuscito a saldare il debito. Ma credo che con questo saremo pari.”
Debito?
Lis avrebbe voluto fare domande, ma il suo sguardo fu catturato da una grossa chiave inglese e prima che potesse ripensarci si lanciò su di essa e colpì Renkwist con forza.
Lui cercò di scansarsi ma fu preso alla spalla e perse l’equilibrio. Indietreggiò barcollando di un paio di passi e Lis ne approfittò e brandì di nuovo l’arnese come per segnare un fuoricampo.
Il colpo andò a segno, ma Renkwist era grosso e forte. Lo assorbì e afferrò la chiave inglese con un feroce sorriso sul volto.
“Oh, adoro le ragazze combattive.”
No. Non avrebbe lasciato che la cosa andasse oltre.
Lis strattonò l’attrezzo ma la presa dell’alieno era troppo salda perché lei potesse avere la meglio. Ma non aveva bisogno di sopraffarlo. Non mentre lui era così impegnato a trattenere l’arma.
Lis lasciò andare la presa e Renkwist cadde all’indietro, ma si rialzò subito.
Lei approfittò dell’opportunità per sgattaiolare via dall’angolo in cui lui l’aveva spinta, ma era pur sempre intrappolata in una stiva con un uomo grosso quasi il doppio di lei. Le casse erano accatastate in alte pile e lei si tuffò dietro una fila di esse, sperando di rimanere nascosta per un tempo sufficiente a elaborare un piano.
Poteva raggiungere Ru? Fino a prova contraria, dava per scontato che Renkwist stesse mentendo. Ma non riusciva a individuare la porta e l’alieno poteva conoscere molto bene la disposizione interna di quella nave.
Cosa poteva…
Ah. Bene.
Poteva farcela.
Renkwist l’aveva privata delle armi dopo averle fatto perdere i sensi, ma il coltello e il blaster erano appoggiati su un tavolo in fondo alla fila di casse.
Lis vi si precipitò prima che lui potesse ricordarsi della loro presenza.
Impugnò il blaster proprio mentre Renkwist la caricava con un ruggito. Lis sparò un colpo dopo l’altro. Il massiccio alieno gemette e si accasciò a terra, scosso convulsamente dalle scariche elettriche che lo avvolgevano.
Lei si appoggiò a una cassa e respirò a fondo. Se avesse allentato la presa sul blaster le sarebbero tremate le mani. Quindi non lo fece. Renkwist non si sarebbe rialzato a breve, ma era meglio non correre rischi.
“Lis? Kwist? Siete qui, ragazzi?” La voce di Ru fu musica per le sue orecchie e l’ultima tensione rimasta nelle spalle si sciolse.
“Qui dietro!” gridò Lis.
Un minuto più tardi Ru girò l’angolo e si bloccò quando vide Renkwist.
“Cos’è successo?” chiese.
“Te l’avevo detto che è uno stronzo.” Finalmente lei abbassò il blaster prima di farlo scivolare nel fodero vuoto della tuta. “Mi ha steso e ha detto che mi avrebbe venduto a un compratore in arrivo. Ha detto di averti ucciso.”
Ru ringhiò e si avvicinò all’oscaviano, ma se aveva in mente qualcosa cambiò idea all’improvviso.
“Ha detto che sei in debito con lui. Di cosa si tratta?”
A quelle parole Ru scoppiò a ridere. “Questo bastardo ha fatto tutto da solo. Ho detto alla sua ex che la tradiva e lei l’ha scaricato.”
“Stronzo.”
“Esattamente.”
“Sei tu che hai detto che dovevamo accettare questo lavoro,” gli ricordò lei.
“D’accordo, non me l’aspettavo. E credo che ora dobbiamo capire cosa fare di lui.”
Lis guardò l’alieno a terra e passò in rassegna le loro opzioni. “Ha un acquirente in arrivo. Io dico che dovremmo prendere la nave e lasciarlo qui. Potrà sistemare i suoi casini con calma.”
“Potremmo denunciare l’aggressione al servizio di sicurezza della stazione, una volta a casa,” propose lui.
Lis scosse la testa. “Voglio farla finita con questa storia. Andiamocene da qui.”
Ru sollevò una mano. “Prima svuotiamo la cassaforte. L’ho aperta.”
“Davvero?”
“È quello che stavo venendo a dirti. Non avevo idea di cosa stesse succedendo qui. Non sono passate nemmeno due ore da quando ci siamo separati.” Il suo sorriso si allargò. “Là dentro c’è un enorme mucchio di chip di credito. Non c’è motivo di lasciarli a questo delinquente.”
Lis girò intorno a Renkwist e prese a braccetto Ru mentre uscivano dalla stiva. “Va bene, forse questo non era un lavoro così brutto.”
“Dovresti fidarti di me.”
“Mi fido. Ma andiamo, prima che arrivi qualcuno di peggio. Ho dei progetti su di te per quando arriveremo a casa.”
Tyral
Legàmi Alieni Libro 2
Dorsey non ricordava di essersi mai sentita più rilassata. Il viaggio verso la stazione di Honora era durato quasi un mese, e nel frattempo aveva fatto l’amore con Ty più volte di quante potesse contarne e aveva imparato il più possibile su di lui.
Ma c’era ancora molto da apprendere. Ci sarebbe sempre stato. Era quella la parte migliore di una relazione, crescere in una versione migliore di se stessi e condividerla con la persona amata.
Beh, e il sesso da capogiro.
Anche se gli oscaviani avevano accettato di dare loro un passaggio, nessuno sulla nave dell’ambasciatore era stato amichevole. Erano tutti perfettamente educati, ma distanti. E Dorsey era certa che fossero stati entusiasti di vedere lei e Ty togliere il disturbo. Erano in atto intrighi imperiali molto più interessanti di due insignificanti fuggitivi.
Erano su Honora da tre giorni e ne mancavano ancora altri tre all’arrivo dell’incrociatore per Jaaxis. Dorsey sapeva che Ty avrebbe dato di matto se gli avesse chiesto ancora una volta se ai suoi genitori sarebbe piaciuta o se si sarebbero preoccupati del fatto che lei fosse umana. E visto che l’ansia al riguardo era tornata, era fuggita in camera per poi fare una passeggiata verso il mercato.
I mercati sulle stazioni spaziali erano estremamente diversi da qualsiasi altro luogo della galassia, e a quella distanza dalla Terra c’erano pochi umani. Per gli standard galattici la Terra era ancora un luogo arretrato, lontano dalla maggior parte delle rotte di navigazione. Perciò Dorsey non si vergognò per la piccola esclamazione di sorpresa che le sfuggì nel vedere un’altra donna umana in una tuta scura, mano nella mano con un alieno sconosciuto dalla pelle gialloverde.
Un alieno Detyen mai visto.
“Porca miseria,” sussurrò.
La donna la notò e sorrise. Si sollevò sulle punte dei piedi, baciò sulla guancia il suo compagno – no, forse non era il suo denya – e si diresse verso Dorsey. Era minuta e abbronzata e aveva capelli castani lunghi fino alle spalle. Ed era assolutamente radiosa.
Mentre si avvicinava la donna la salutò con la mano, e fu lei a parlare una volta che si ritrovarono faccia a faccia. “Ciao! Sono Lis. Spero di non sembrarti troppo strana, è solo che non siamo in molti a provenire dalla Terra, da queste parti, ed è bello vedere un volto familiare.”
Parlava inglese. Dorsey non sentiva qualcuno parlare nella sua lingua da quasi cinque anni. “Vieni dalla Terra?” le chiese. “Io sono Dorsey,” aggiunse poi.
“Da dove altro potrei venire?” chiese ridendo Lis. Prima che Dorsey potesse rispondere la donna si girò di scatto e si rivolse al Detyen, che si era avvicinato anche se era ancora troppo lontano per una conversazione educata. “Ti ho chiesto di darmi un secondo, Ruwen NaNaran. Sul serio!” Lo scacciò e si voltò nuovamente verso Dorsey. “Il mio denya sta cercando di ricordarmi che dobbiamo incontrare degli amici a pranzo.”
Dorsey spalancò gli occhi. “Il tuo denya?” Lei non era l’unica? Né lei né Ty avevano mai messo in dubbio che lei fosse la sola denya umana in circolazione, per il momento. Ma quella donna, Lis, aveva appena dimostrato che non era così.
“Oh.” Lis sembrava aver frainteso la domanda. “Significa che lui è…”
“Il tuo compagno,” dissero contemporaneamente Dorsey e l’uomo Detyen, Ruwen. Lui si mise alle spalle di Lis e l’abbracciò da dietro. “E ho fame.”
Ma ormai Lis era incuriosita e stava studiando Dorsey. “Hai incontrato altri Detyen prima d’ora?” chiese.
“Tesoro, non infastidire la…”
Lei si girò e coprì la bocca di Ruwen con la mano. Ci provò, almeno. Le sue dita gli punzecchiarono il naso e coprirono solo parte del labbro superiore. Ma lui smise di parlare. “Ne hai incontrati?” ripeté.
“Non ci crederai,” disse Dorsey. “Io stessa stento a crederci. Ma il mio denya, Tyral, è al piano superiore, nelle nostre stanze.” Fu presa dall’entusiasmo e le venne voglia di avvicinarsi e abbracciare sia Lis che Ruwen. Era fantastico!
Lis e il suo denya la fissarono con la stessa espressione incredula, con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Ruwen fu il primo a riprendersi. Sorrise. “Unitevi a noi stasera a cena al ristorante Starlighter sul quarto ponte.”
Dorsey acconsentì senza esitazione, e anche se avrebbe voluto parlare con loro più a lungo Lis e Ruwen dovettero andare al loro appuntamento per pranzo. Lei tornò di corsa verso la camera e armeggiò con il tastierino fuori dalla porta, con il petto ansante e il sudore che le imperlava la fronte. Prima che riuscisse a sbloccare la serratura Ty aprì la porta e lei gli finì dritta tra le braccia, il suo posto preferito.
Lui la strinse a sé e tutte le tensioni derivanti dalle discussioni sulla sua famiglia si dissolsero. Erano ormai talmente abituati a stare l’uno accanto all’altra che separarsi sembrava sbagliato. E ogni volta che si ritrovavano diventava un motivo per festeggiare.
“Non sono l’unica,” disse lei, praticamente gridando per l’eccitazione.
“Cosa?” Ty le chiuse la porta alle spalle, ma rimasero abbracciati. “L’unica di cosa?”
Dorsey prese ripetutamente fiato. Le parole volevano uscire, ma lei doveva controllarle. Dopo la terza inspirazione riprese a parlare. “Ho incontrato un’umana che si è accoppiata con un Detyen. Vogliono che andiamo fuori a cena con loro.”
Ty rimase sbalordito. Rimase immobile per un momento, poi la strinse in un abbraccio ancora più saldo prima di abbassarsi per prenderla in braccio facendole fare una giravolta con un grido entusiastico. I suoi occhi rubino brillavano e il suo sorriso andava da un orecchio all’altro.
“Sei un miracolo,” disse, rimettendola a terra.
“Ma non sono solo io,” protestò lei. “È questo il miracolo.” Non si sarebbero salvati tutti. Quella realistica consapevolezza era sempre annidata in un recesso della sua mente. Ma venire a conoscenza dell’esistenza di Lis e Ruwen dimostrava che c’erano nuove opportunità. Non si trattava più di un caso fortuito. Forse c’era qualcosa di speciale in lei e in Lis, ma ciò non escludeva che ci fosse anche in altre donne di specie umana. O negli uomini. Le donne Detyen erano soggette alla stessa maledizione della loro controparte maschile.
Ty raggiunse la chiusura del suo soprabito, scoprendole la gola e la parte superiore del petto e rivelando la cerniera che apriva gli abiti sottostanti. “Credo che questa notizia meriti di essere festeggiata,” disse, sporgendosi e posandole le labbra sul collo, proprio dove sapeva che l’avrebbe fatta rabbrividire.
Dorsey lo abbracciò e si inarcò contro di lui. “Abbiamo tempo,” gemette, mentre lui la baciava di nuovo. “Mancano ore alla cena.”
Sentì le labbra di Ty curvarsi sulla sua pelle morbida. “Non credo che se la prenderanno se tardiamo un po’."
Stoan
Legàmi Alieni Libro 3
Reina guardò con circospezione la lastra rigida spinta contro il muro del vecchio alloggio di Stoan. Lui sosteneva che fosse un materasso, ma lei la pensava diversamente. Una notte su quello strumento di tortura e avrebbe minacciato di tornare a casa sua. Dormire sul pavimento sarebbe stato meglio di un sonno su quella… cosa.
“Cosa stai facendo?” chiese Stoan entrando in camera e prendendo un libro che aveva lasciato sul tavolino.
“Pensi che brucerà?” rispose Reina con un’altra domanda. Non riusciva a credere che lui avesse dormito lì sopra per anni. I prigionieri dei campi di lavoro avevano letti migliori.
Stoan le passò un braccio intorno e le diede un rapido bacio. Si stavano sistemando nel suo nuovo alloggio e avevano deciso di usare quello vecchio come ufficio dove lui poteva svolgere gran parte del lavoro di gestione della comunità Detyen di Nina City.
“Perché vuoi bruciare il mio vecchio letto?” chiese, come se non avesse alle spalle anni di prove di quanto fosse tremendo. “Possiamo metterlo nella stanza degli ospiti, così i visitatori non saranno costretti a dormire sul divano.”
Reina scoppiò a ridere immaginando la faccia di chiunque si fosse trovato a cercare di dormire su quell’arnese. Non l’avrebbe augurato al suo peggior nemico. Beh… ripensandoci, se fosse stata in grado di far prigioniero Droscus da qualche parte, avrebbe fatto di quella maledetta branda il suo unico pezzo di arredo.
“Non è così terribile,” insisté Stoan.
Lei indicò il punto in cui il suo collo incontrava la schiena. “Qui ho ancora un nodo di tensione dovuto a quella cosa che chiami cuscino. Sono piuttosto sicura che tu avessi un piano malvagio con quell’accoppiata, ma non ho ancora capito quale fosse.”
Il giorno seguente a quello in cui erano andati a vivere insieme lei lo aveva trascinato al mercato per trovare un nuovo letto e delle nuove lenzuola, dato che lui aveva ringhiato al solo pensiero di dormire in quello che Reina aveva condiviso con il suo defunto marito. E al momento possedevano un bel letto enorme, morbido, comodo, perfetto per dormire. Ma la sola esistenza di quella branda la offendeva.
Le mani di Stoan scivolarono verso l’alto e lui cominciò a massaggiarle le spalle, sciogliendo il nodo che lei aveva indicato. “Se volevi che ti togliessi il dolore, dovevi solo chiedere,” disse.
Reina chiuse gli occhi e appoggiò la schiena a lui; sentire su di sé le sue mani forti era un piacere che aveva imparato ad amare quasi quanto amava la sua lingua. “Se mai avessi bisogno di una carriera di ripiego, sono certa che qualcuno ti pagherebbe bene per questo.”
Stoan ridacchiò, con il petto che le sfiorava la schiena. “Le mie mani sono solo per te, denya,” disse, e le baciò il collo proprio sul punto in cui l’aveva marchiata e rivendicata come sua.
Il fuoco le si accese nelle vene, e Reina decise che la branda poteva avere una sua utilità, mentre lei e il suo compagno si sdraiavano per darle un’ultima possibilità
Cyborg
Legàmi Alieni Libro 4
Dopo una settimana di permanenza presso la stazione di Honora, Inrit rivolse a Max una domanda. “Come diavolo hai fatto a rimanere alla stazione di Nina per così tanto tempo senza impazzire?” Avevano affittato una stanza negli alloggi temporanei e avevano speso una follia per averne una con una vera finestra che dava sullo spazio. All’inizio, la profondità e l’oscurità l’avevano affascinata e aveva ammirato le stelle su quello sfondo di inchiostro ogni volta che ne aveva avuto la possibilità. Ma dopo un’intera settimana di quel panorama, il nero era diventato… da claustrofobia.
Inrit si sedette sul letto e si tirò addosso la spessa coperta per ripararsi dall’aria un po’ fredda della stanza. Sebbene avessero accesso a un sofisticato sistema di controllo della temperatura, non si erano ancora accordati su una temperatura ideale costante e stavolta toccava a Max controllare il termostato.
Lui era seduto ai piedi del letto, con la maglietta gettata da qualche parte sul pavimento. Inrit non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. La sensazione che le davano i muscoli della sua ampia schiena si era impressa sulle sue mani e non c’era un centimetro di lui che non avesse assaggiato. Due volte. Si chinò in avanti finché la sua guancia non fu premuta contro la pelle deliziosamente calda di lui.
Max la guardò con un sorriso e un leggero mormorio di piacere. “È affetto o stai cercando di sottrarre tutto il mio calore?” Le stampò un bacio sulla fronte senza cercare di allontanarsi.
“Non possono essere entrambe le cose?” chiese lei. Prima di incontrare Max, non aveva mai conosciuto l’assoluta soddisfazione che poteva dare un semplice tocco. Continuava a trovare piccole scuse per sfiorare con le dita la sua pelle, assaporando le sensazioni che lui le regalava. Passò le labbra sulla curva della sua spalla e tirò fuori le mani dalle coperte per far scivolare le dita sul suo petto.
Max si appoggiò a lei, ma le afferrò il polso prima che potesse scendere troppo. “Abbiamo promesso che avremmo salutato i ragazzi,” le ricordò.
“Lo so,” mormorò lei con le labbra premute sulla sua pelle per attutire il suono della voce. Fu una lotta costringersi ad allontanarsi da lui, e non solo per il calore. Ma Inrit dimostrò abbastanza forza da ritrarsi, gettare via la coperta e strisciare fuori dal letto. Tenne gli occhi fissi davanti a sé mentre si dirigeva verso l’armadio per decidere cosa indossare. Se avesse visto il luccichio argentato negli occhi di Max, non ce l’avrebbero mai fatta.
Ma mezz’ora dopo erano al terminal dei voli a lunga distanza, a scambiarsi abbracci e informazioni di contatto con Krayter e Kayleb. Kayleb si era quasi completamente ripreso dalle ferite, gli unici strascichi rimasti erano una cicatrice ancora in via di guarigione sulla tempia e una nuova abitudine a cadere in lunghi silenzi. Il medico della stazione era convinto che le cose sarebbero migliorate… prima o poi. Inrit sperava che accadesse presto.
“Avete perso la speranza che vostro cugino si faccia vivo?” chiese lei. I viaggiatori passavano davanti a loro e Inrit fu contenta che avessero trovato un angolino per salutarsi. L’area era troppo affollata per i suoi gusti.
Krayter guardò il brulichio di persone prima di scrollare le spalle e voltarsi verso di lei. “Questo è l’ultimo trasporto diretto sulla Terra per un mese. Ru aveva detto di andare avanti senza di loro se i tempi non avessero combaciato. Quindi… andremo avanti.”
Nessuno dei due Detyen ne sembrava contento.
“Possiamo tenere d’occhio la situazione,” propose Max. La sua mano era posata con disinvoltura sulla spalla di Inrit e lei si appoggiò a lui. “Se si faranno vivi presto, sapranno che siete saliti a bordo della nave sani e salvi.”
Kayleb annuì ma non disse nulla. Quando si erano incontrati la prima volta era stato aggressivo, mentre ora mostrava una facciata di silenziosa tranquillità. Inrit sperava che non venisse travolto, quando si fosse aperta la diga delle sue emozioni.
“Grazie,” replicò Krayter. “Probabilmente c’è una spiegazione semplice per il loro ritardo.” Dalle sue parole trasparì la preoccupazione e le sue sopracciglia si aggrottarono. Inrit comprendeva quella reazione. Dopo il loro incontro con i pirati, era difficile immaginare scenari rassicuranti per il ritardo.
Dall’interfono giunse una chiamata che avvisava i passeggeri che era ora di salire a bordo. Sia Krayter che Kayleb presero i loro bagagli.
“Spero che sulla Terra troviate quello che state cercando,” disse Inrit. “E quando lo troverete, fatecelo sapere. Capito?” Si conoscevano solo da poche settimane, ma ormai i ragazzi per lei facevano parte della famiglia.
“Capito,” confermò Kayleb. Entrambi la abbracciarono e poi se ne andarono, mettendosi in coda per salire a bordo della nave e lasciando Max e Inrit da soli.
“Hai mai voluto visitare la Terra?” chiese lei a Max. Aveva visto immagini e video. Quel pianeta sembrava avere tutto, oceani enormi, foreste verdeggianti, deserti. Era riuscito a sopravvivere al peggio che gli umani potessero infliggergli e continuava a prosperare. Provò una fitta pensando a Detya. La gente di Max era venuta dalla Terra, ma lei non avrebbe mai visto il suo mondo natale.
Lui rimase in silenzio per un lungo momento. Guardò la folla senza concentrarsi su nessuno in particolare. “Forse un giorno,” disse infine. “Quando quei ragazzi avranno trovato le loro compagne e chiederanno di andare a trovarli.”
“Sei davvero sicuro che ci riusciranno?” chiese lei. Né Krayter né Kayleb avevano mai rivelato la loro età, ma non poteva mancare più di qualche anno ai trenta. Lui si chinò a baciarle la sommità del capo. Noi ci siamo trovati, no?”
La fiamma si accese e Inrit desiderò afferrarlo per il colletto della maglietta e trascinarlo nel loro alloggio. Ma l’aveva già fatto due volte nell’ultima settimana e se avesse continuato così non avrebbero mai lasciato la stazione di Honora. Così si accontentò di un bacio e nel ritrarsi sorrise. “È vero.”
Max intrecciò le sue dita a quelle di lei e insieme si allontanarono dal terminal. “Hai pensato a cosa dovremmo fare quando ce ne andremo da qui?”
Durante l’ultima settimana Inrit aveva permesso a quel pensiero di affacciarsi alla mente. La stazione di Honora era un mondo di sogni, alla deriva rispetto a tutto ciò che era reale. Ma tutti i sogni finivano, prima o poi. Con Max al suo fianco lei non temeva il futuro. Tuttavia, non aveva fretta di corrervi incontro. “Immagino che potremmo trovare un pianeta in cerca di colonizzatori. Anche se non vivo sulla terraferma da molto tempo.”
Lasciò che Max la guidasse e non prestò molta attenzione a dove erano diretti. Quella era una delle cose straordinarie dell’avere un compagno. Poteva fidarsi del fatto che lui le guardasse le spalle con la stessa attenzione con cui lei lo ricambiava. Camminarono per diversi minuti, ma erano ancora vicino ai cancelli che portavano fuori dalla stazione. “Dove mi stai portando?” chiese.
“Ho un’idea. Non devi dire né sì, né no, né altro, finché non avrai avuto il tempo di pensarci sopra.” Max la condusse attraverso una porta che si chiuse alle loro spalle. Le luci in alto si accesero automaticamente, ma la stanza era piccola come un armadio e l’unica cosa interessante era l’enorme finestra che guardava lo spazio aperto. All’esterno della stazione fluttuava un piccolo incrociatore scuro che aveva visto giorni migliori. Il suo scafo era ricoperto da diverse placche di metallo che andavano dal blu brillante a un rosa sgargiante. Era la nave più brutta che Inrit avesse mai visto.
L’adorò dal primo istante.
“Il suo capitano sta cercando un equipaggio?” chiese al suo compagno, lanciandogli un’occhiata eccitata da sopra la spalla. Senza nemmeno rendersene conto, aveva premuto le dita contro il vetro della finestra.
Max le rispose con un sorriso. “Potrebbe essere tua, se la vuoi.”
Il cuore di Inrit ebbe un sussulto e una mano iniziò a chiudersi a pugno come se lei potesse attraversare il vetro e afferrare la nave. “Anche un pezzo di metallo come quello deve costare più crediti di quanti ne abbia mai visti in vita mia.”
Max tossì coprendosi la bocca con una mano e due chiazze rosso vivo apparvero sulle sue guance. “Ho una manciata di ametiste tarniane,” ammise. “Potremmo comprare la nave dieci volte e avere ancora denaro da parte.”
Inrit lasciò ricadere la mano e si voltò verso di lui. “Cosa?” Le ametiste tarniane erano tra le gemme più ricercate della galassia. E Max ne aveva addirittura una manciata? “Quando avevi intenzione di dirmi che sei ricco?”
“Ciò che è mio è tuo, denya.” Lui le afferrò le braccia e la fece girare in modo che fosse di nuovo rivolta verso la finestra. Fece poi scivolare le mani verso il basso ad avvolgerle la vita, e le appoggiò il mento su una spalla. “Tu, io e la galassia, che ne dici?” le sussurrò direttamente all’orecchio, sfiorando con le labbra la pelle sensibile.
Inrit guardò di nuovo la nave e lasciò che il calore delle mani di Max si diffondesse in lei. Inclinò la testa di lato per strusciarsi contro di lui e sorrise. “Mi sembra un’ottima idea.”
Krayter
Legàmi Alieni Libro 5
“Ma guarda la finitura verde di questa,” disse Krayter attraversando il piazzale dove il proiettore olografico stava mostrando l’ultimo modello di navetta veloce.
Il suo compagno poteva anche apprezzare la verniciatura, ma Penny stava guardando il cartellino del prezzo. “Quando pensavi di dirmi che sei un miliardario segreto?” chiese con un sorriso.
Krayter rispose al sorriso in quel modo particolare che le dava il batticuore e le diceva quanto lui potesse cacciarsi nei guai, cosa di cui Penny aveva esperienza diretta. “Offrono un finanziamento,” disse lui come se la cosa potesse convincerla.
“Sono piuttosto sicura che dovremmo vendere entrambe le mie sorelle e i tuoi fratelli per poterci permettere anche solo un anticipo.” Si avvicinò mentre parlava, e dovette ammettere che il mezzo aveva un bell’aspetto. Elegante e liscio, quasi in attesa di essere toccato, anche se ciò che lei stava guardando era solo un ologramma.
“Oooh, state guardando la Hornet. È una nave fantastica, soprattutto per le nuove famiglie!” Una voce sdolcinata giunse da dietro e Penny si girò di scatto trovando un’androide in avvicinamento, con dei capelli rosa stranamente acconciati e un falso sorriso. Da lontano, Penny avrebbe potuto pensare che la macchina fosse una persona, ma da vicino era inquietante.
“Io non…” cercò di dire Penny, ma Krayter parlò sopra la sua voce.
“Possiamo fare un giro di prova?” chiese. Le lanciò uno sguardo che le diceva di fidarsi di lui.
Beh, erano sopravvissuti fin lì e al momento nessuno stava sparando su di loro.
Inoltre, Penny voleva vedere l’interno della nave.
“Ma certo!” rispose l’androide con entusiasmo. “Mi serviranno solo la patente e l’assicurazione.”
Krayter spalancò gli occhi. “Ehm…”
Penny frugò in tasca e tirò fuori i suoi documenti. “Qui c’è tutto. Sono pronta per un giro.”
Seguirono l’androide fino all’hangar e Krayter si chinò per sussurrare all’orecchio di Penny. “Non è così che doveva andare.”
Lei gli sorrise. “Ti avevo detto di occuparti delle tue pratiche. Magari la prossima volta puoi fare tu il giro di prova.”
Non c’era possibilità di acquistare una nave che costava all’incirca quanto una piccola luna, ma mentre si sedeva nell’abitacolo e azionava i comandi, Penny pensò che era bello sognare.
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A proposito dell'autrice
Kate Rudolph vive in Indiana, ed è una scrittrice di paranormal e sci-fi romance. I personaggi di cui adora scrivere sono eroine forti e toste, e uomini attraenti che se ne innamorano. Divora romanzi d’amore da quando era troppo giovane per leggerli e doveva nasconderli per evitare che qualcuno glieli portasse via. Non potrebbe immaginare un lavoro migliore al mondo che scrivere storie d’amore e condividerle con i suoi affezionati lettori.